L’olio di palma, a lungo secondo dopo l’olio di soia, è diventato il grasso più usato al Mondo, non solo in alimentazione. E finalmente è citato sulle etichette. Ma leggere le etichette non basta per capire: consumatori e anche nutrizionisti dovrebbero informarsi-informare sulle vere caratteristiche degli alimenti, a cominciare dai reali componenti nutrizionali.
Iniziamo col dire che l'attuale demonizzazione dell'olio di palma è un atteggiamento, anche per un naturista, eccessivo sul piano nutrizionale, e illogico sul piano storico, visto che anche noi Italiani, nonostante la tanto strombazzata “civiltà dell’olivo”, abbiamo usato per molti secoli, dalle origini fino al 1960, come principali grassi di cottura soprattutto lardo e strutto.
L’olio di palma non è certo un grasso d’uso casalingo, almeno in Europa, ma solo industriale e commerciale (industria alimentare, ristoranti, friggitorie, mense). Non ha fatto mai parte della nostra cultura antropologica, e questa non è una esortazione a utilizzarlo. Se qui se ne parla è solo per chiarirci le idee dal punto di vista scientifico (così che il “ripasso” sarà utile per capirne di più anche degli altri oli e grassi), dato che si trova sempre più spesso anche negli alimenti biologici e naturali.
Diciamo che nell'ambito della produzione alimentare industriale, che comunque dovrebbe essere consumata nella minor quantità possibile, l'olio di palma ha una sua funzione, che non va criminalizzata. Soprattutto perché ha una composizione chimica sorprendente che ne fa un grasso più protettivo o meno rischioso del burro nelle cotture, soprattutto se l’olio usato è allo stato grezzo e solido (“red palm oil”). Chi lo osteggia su internet dovrebbe a maggior ragione boicottare il burro, che come si vede nella tabella ordinata in ordine crescente di acidi grassi saturi, cioè a rischio, e in ordine decrescente di acidi grassi insaturi, cioè “protettivi”, ha parametri nettamente inferiori nelle due classi di acidi grassi protettivi mono e polinsaturi, e privilegiare addirittura il lardo, che ha il 66% di acidi grassi protettivi e solo il 33% di saturi, neanche tutti dannosi (ma che ovviamente è improponibile per una dieta vegetariana e men che meno vegana).
Potremmo chiederci, quale grasso che non sia di palma può resistere alle difficili condizioni ambientali della cottura industriale e della produzione a caldo,dell’ossidazione dovuta a immagazzinamento, calore prolungato (sole, luce battente), e a conservazione all’aria in scatole non a perfetta tenuta – come dadi per brodo, biscotti ecc. – per lunghi mesi a contatto con luce e temperatura ambiente? La risposta non è così scontata.
E’ peggiore, se possibile, valutando il periodo di decadimento in proporzione al costo, l'utilizzo poco accorto di olii più naturali e salubri: oli vergini di oliva, girasole, mais, cartamo, vinacciolo, sesamo, noce ecc. (se “di spremitura a freddo”) venduti in bottiglie trasparenti o alle alte temperature di erboristerie, negozi bio (un po’ più freschi) e supermercati, comunque fuori della “catena del fresco”, e nelle case sempre lasciati al caldo della cucina e a contatto con aria e luce (oliera), quindi predisposti alla rapidissima ossidazione e alla produzione nel nostro organismo di pericolosi radicali liberi, in quanto sono i grassi più instabili e delicati. Nella maggior parte dei cibi industriali questi oli, ricchi di acidi grassi mono e polinsaturi, quindi rapidamente deteriorabili, in quelle difficili condizioni si irrancidirebbero nel giro di ore-giorni-settimane, nonostante i sitosteroli protettivi, producendo perossidi, cioè radicali liberi, e poi idrocarburi, aldeidi e acidi tossici e di sapore sgradevole. A meno di non aggiungere i soliti additivi antiossidanti industriali (tipo BHT, butil-idrossitoluolo e BHA, butil-idrossianisolo), che si usano anche quando nelle torte pronte o nei panettoni c’è il delicatissimo burro.
In questi casi (produzione industriale, magazzini, trasporto ecc.) non resta come male minore che l’olio di palma, stabile alla frittura, ad ogni genere di cottura e alla perossidazione lipidica da ossigeno-luce-calore, e anche il più economico. Così inossidabile che, anche se può sembrare incredibile, un orcio di terracotta con tracce di olio di palma è stato trovato da archeologi ad Abydos in una tomba egizia di 5000 anni fa, (FRIEDEL MC. Comptes rendus. On fatty materials found in Egyptian tomb in Abydos. vol. 24,648,1987). Olio che, volendo, può essere anche acquistato nella forma grezza e solida, utile nelle creme che non si devono sciogliere ma rimanere pastose.
E sul piano puramente nutrizionale? Non è terribile come lo dipingono. L’olio di palma ha un rapporto saturi/insaturi inferiore a 1 (0.9). Accanto al 47% di a.g.saturi (tanti, certo) ha ben il 51.5% di a.g. insaturi protettivi, cioè circa il 39% di monoinsaturi (acido oleico, tipico dell'olio di oliva, che però ne ha il 70%) e il 12% di polinsaturi, soprattutto linoleico. Tanti, anzi ancora di più, questi protettivi, ma nessuno lo dice. Ben il 51.5% di grassi protettivi – che il burro si sogna (solo 26.5%), ma che lardo e strutto addirittura superano (oltre alla minore percentuale di a.g. saturi), e infatti sono i primi in classifica nella tabella.
Ci sono i saturi pessimi, quelli mediocri e quelli addirittura buoni, cioè protettivi. Insomma, non tutti gli acidi grassi saturi sono uguali. Vero è che l’abbondante acido palmitico (43-47%) dell’olio di palma è il suo vero limite nutrizionale, perché è un acido a catena lunga che isolato e dato ai topi ha mostrato in studi sperimentali di laboratorio un più alto rischio aterogenico e ipercolesterolemico e perciò cardiovascolare. Il burro, invece, ha solo il 21.6% di palmitico, e ha gli acidi laurico e miristico, saturi sì ma a catena media, quindi neutri rispetto al rischio detto, più l’acido butirrico, a catena corta, che pur essendo saturo è addirittura protettivo (è il medesimo che si forma per fermentazione delle fibre nel colon). Ma il burro, non dimentichiamolo, ha pur sempre solo la metà dei protettivi a.g. monoinsaturi dell’olio di palma.
Quando invece diamo all’uomo, non ai topi, non l’acido palmitico isolato ma l’olio di palma intero, a dimostrazione che ogni alimento naturale e integrale è un complesso bilanciato, non si verifica alcunché di negativo. Innanzitutto, l'olio di palma, come tutti i grassi vegetali, è privo di colesterolo, a differenza di burro e lardo. E il più alto colesterolo nel sangue che l’acido palmitico dovrebbe favorire ? La ricerca biologica più accreditata ormai è orientata nel senso che l’olio di palma si comporta all’atto pratico in modo neutro o addirittura favorevole verso i parametri lipidici, cioè non aumenta, anzi, spesso riduce sia il colesterolo totale, sia le pericolose LDL; mentre non innalza i trigliceridi. Quindi un’azione del tutto neutra, se non positiva.
STUDI. Nel classico studio di Sundram e Hornstra (in doppio cieco e crossover), in 38 volontari maschi la sostituzione del 70% dei grassi animali e oli idrogenati di una tipica “dieta olandese” con olio di palma, che è privo di colesterolo e acidi trans-saturi, non ha modificato il colesterolo totale nel sangue, ma ha aumentato dell’11% le HDL protettive, diminuito dell’8% le dannose LDL, aumentato del 4% le apolipoproteine A1 (legate alle HDL) e diminuito del 4% le apolipoproteine B (LDL). Tutti miglioramenti modesti ma significativi, che provano che quando l’olio di palma sostituisce la maggior parte dei grassi animali o trans-saturi in una dieta, non apporta nuovi rischi ma anzi può addirittura ridurre il rischio cardiovascolare (SUNDRAM K, HORNSTRA G, HOUWELINGEN AC, KESTER ADM. Replacement of dietary fat with palm oil: effect on human serum lipids, lipoproteins and apolipoproteins. Br J Nutr 1992, 68, 671-692).
In un esperimento su volontari della Malesia con diete alternate a base di oli di cocco, palma e mais, mentre l’olio di cocco alzava il colesterolo totale del 10%, l’olio di palma riduceva tutti i valori: colesterolo totale -19% (mais -36%), LDL -20% (mais -42%), HDL -20 (mais -26%). Il rapporto LDL/HDL non era modificato dal cocco, ma era abbassato dalla palma (-8%) e ovviamente ancor più dal mais (-25%). I trigliceridi nel sangue non erano modificati dalla palma, ma ridotti dal mais (NG TK, HASSAN K, LIM JB, LYE MS, ISHAK R. Nonhypercholesterolemic effects of a palm-oil diet in Malaysian volunteers. Am J Clin Nutr 1991,53,4,1015S-1020S). Quindi anche qui un comportamento da neutro a favorevole, e comunque non negativo.
Sul piano produttivo, legislativo e commerciale, invece, i problemi ci sono, eccome. Innanzitutto l’olio di palma assume in commercio gli aspetti e le forme più diverse, tanto da disorientare noi Europei: grezzo, rosso e pastoso in barattoli, più di rado solido e giallo in panetti biancastri come il burro (attenzione che non sia idrogenato: è molto usato come margarina), semifluido e rossiccio allo stato naturale (“Pure Crude Palm Oil”). ma più di frequente in Europa in contenitori di liquido giallo e fluido come un qualunque olio di semi (“olio di palma frazionato”, “Superoleine”) destinato alle friggitorie e ai ristoranti. E’ il tipico “olio di palma bifrazionato” e raffinato, che ha una composizione percentuale in teoria più accettabile: 37% a.g. saturi, 41.1 a.g. monoinsaturi, 13.5 a.g. polinsaturi. Peccato che sia stato ottenuto per raffinazione chimica frazionata, quindi con un procedimento altamente tecnologico e pochissimo naturale, e soprattutto che abbia perso tutti i suoi preziosi antiossidanti rossastri dello stato solido o pastoso, grazie all’abbondanza di beta-carotene e altri carotenoidi, e il profumo particolare (per alcuni di violetta).
Insomma, quello che era in origine allo stato naturale un grasso tutto sommato discreto e ricco di antiossidanti, viene uniformato, banalizzato e spersonalizzato in modo da somigliare a un qualsiasi oliaccio industriale. Ma, ripetiamo, non è un difetto dell’olio di palma, quanto della tecnologia esasperata che lo ha trasformato e reso artificiale, comune a tutti gli oli di semi industriali. Così, alcuni naturisti americani hanno preso l’abitudine di andare a cercarsi sul mercato web il “red palm oil”, l’olio di palma rosso e naturale (v. immagine), ricco di proprietà antiossidanti e protettive che insieme con i tanti acidi insaturi evidentemente bilanciano in modo efficace nel nostro organismo l’eccesso di acido palmitico.
L’olio di palma grezzo, cioè non raffinato, contiene infatti una grande quantità di antiossidanti, molto più della carota: circa 30.000 mcg di beta-carotene (responsabile del colore rossiccio), 24.000 mcg di alfa-carotene e 33.10 mg/100 g di vitamina E alfa-tocoferolo. Oltre a coenzima ubiquinone Q10, squalene ecc. Un peccato che la raffinazione distrugga tutta questa ricchezza, solo per permettere alle friggitorie e ai ristoranti popolari di tutto il Mondo di cuocere cibi orribili e insani a poco prezzo! Il burro è dotato di quantità decisamente minori di antiossidanti: retinolo 906 mcg, beta-carotene 146 mcg, vitamina E alfa-tocoferolo 2.40 mg (IEO, Inran).
Inoltre le norme non sono chiare. I produttori ne approfittano, indisturbati, per mescolare spesso all'olio di palma l’olio di palmisti, cioè l’olio del seme del frutto della palma, che è un grasso completamente diverso per composizione, aspetto (è bianco, non avendo i carotenoidi) e gusto, e assomiglia molto all’olio di cocco. Nella tabella in alto l’olio di palmisti ha l’82% di acidi grassi saturi, un’enormità, e appena il 15% di monoinsaturi. Dovremmo ottenere leggi internazionali che vietino ai produttori di mescolare due grassi così diversi, palma e palmisti, senza denunciarlo in etichetta, specificando anche il contenuto percentuale in acidi grassi della miscela. Per fortuna nella sfortuna, però, gli a.g. saturi dell’olio di palmisti pur essendo sovrabbondanti sono migliori qualitativamente di quelli dell’olio di palma: costituiti da poco acido palmitico, un a.g. a catena lunga, ad alto rischio (6.5-9%), e invece per lo più da a.g. saturi a catena media come il laurico (47-51.5%) e il miristico (15.5-17%) che sono piuttosto neutri, cioè non provocano danni ateromasici e ipercolesterolemici nell’organismo.
Insomma, è bene far entrare in testa ai consumatori che la natura dei grassi è complessa, e anche la natura dell’intera “alimentazione naturale”. E’ sbagliato dire “grassi saturi” in generale per dire il peggio da criminalizzare. Bisogna vedere i dettagli, cioè le quantità in cui i diversi acidi grassi saturi sono presenti in ciascun grasso (di palma, di palmisti, di cocco, lardo, strutto e burro). Negli a.g. saturi bisogna distinguere tra a.g. saturi a catena corta (protettivi), a.g. a catena media (neutri), a.g. a catena lunga, dannosi. E poi, a che serve usare in alternativa preziosissimi oli extra-vergini di prima spremitura a freddo (tanto più che se ne possono consumare pochi grammi al giorno), quando sono ossidati da calore, luce e ossigeno? Anzi, diventano produttori di radicali liberi più dei grassi saturi!
Alla fin fine, il bilancio dell’olio di palma, anche in dettaglio, è sostanzialmente neutro o leggermente positivo, non certo allarmante. Comunque per la cottura ad alta temperatura (frittura), specialmente se è grezzo, l’olio di palma è preferibile come parametri addirittura al burro e agli oli di semi, che si degradano facilmente al calore.
Non criminalizzare nulla di ciò che è naturale e lungamente sperimentato dall’Uomo. Noi, da parte nostra, continuiamo a consigliare di consumare per il (tanto) cibo crudo e per il (poco) cibo cotto che ci sono necessari ogni giorno quantità misurate di ottimo olio extra-vergine di oliva. Però trattandolo bene, cioè assicurandoci non tanto che sia biologico o no, piuttosto che produttori e commercianti l’abbiano prodotto a bassa temperatura e conservato al buio e in catena del fresco, che sia non in oliera ma in bottiglia scura o coperta di alluminio, chiusa non col sughero ma col tappo a vite sempre ben serrato, conservato in cantina o in analogo ambiente fresco e buio, non in cucina… Queste sono le condizioni davvero importanti. Altrimenti – nelle piccole quantità consentite per i grassi di condimento (il consiglio empirico per una persona normale sana ma sedentaria è di non superare i 2 cucchiai da minestra a pasto di olio crudo; ma per molti soggetti sovrappeso anche meno) – andrebbe bene tutto, perfino gli oli di semi raffinati e l’olio di palma.
Tutti gli altri grassi della Tradizione (lardo, strutto e burro, quest’ultimo rigorosamente solo crudo) possono essere usati soltanto di tanto in tanto o eccezionalmente, se si vuole. O anche mai (naturisti stretti, vegan): non sono certo necessari. E per i non vegetariani o non naturisti? “Orribile a dirsi”, lardo e strutto sono molto meglio del burro nella cottura: le cifre della tabella parlano chiaro. E anche gli oli di semi non raffinati, certo, vanno usati (peccato gli altissimi prezzi…) purché non abbiano mai lasciato la “catena del fresco”, condizione rarissima. E anche i migliori oli di semi nella frittura si decompongono facilmente e producono radicali liberi, tanto da essere ben più rischiosi dell’olio di palma. Ma non gridiamo allo scandalo se nei cibi industriali o degli esercizi pubblici (fritture, biscotti, creme spalmabili, grissini, margarina, dadi per brodo ecc.) c’è l’olio di palma (purtroppo raffinato, questo piuttosto lo scandalo). Perché per il consumatore eccezionale non sono affatto un rischio quei pochi grammi una volta all’anno! E’, semmai, il complesso dei cibi artificiali e industriali ad essere alla lunga rischioso, anche senza olio di palma, se condiziona la nostra dieta abituale. E perciò dobbiamo consumarli molto di rado gli alimenti industriali. E, anzi, chi grida troppo fa sospettare che abbia intenzione di mangiarli spesso…
Diverso e fondamentale invece il discorso ecologico che abbiamo appositamente lasciato per ultimo. La vera motivazione della campagna anti-palma dovrebbe essere ambientale, mentre in realtà è politica. E’ vero che la dissennata deforestazione per impiantare sempre nuove coltivazioni di palma da olio sta distruggendo l’ambiente originario e le foreste dell’Asia, più amate dagli Occidentali che dagli Orientali, tanto che i rari oranghi sono in via di sparizione.
(Fonte: Alimentazione Naturale Blog)
Iniziamo col dire che l'attuale demonizzazione dell'olio di palma è un atteggiamento, anche per un naturista, eccessivo sul piano nutrizionale, e illogico sul piano storico, visto che anche noi Italiani, nonostante la tanto strombazzata “civiltà dell’olivo”, abbiamo usato per molti secoli, dalle origini fino al 1960, come principali grassi di cottura soprattutto lardo e strutto.
L’olio di palma non è certo un grasso d’uso casalingo, almeno in Europa, ma solo industriale e commerciale (industria alimentare, ristoranti, friggitorie, mense). Non ha fatto mai parte della nostra cultura antropologica, e questa non è una esortazione a utilizzarlo. Se qui se ne parla è solo per chiarirci le idee dal punto di vista scientifico (così che il “ripasso” sarà utile per capirne di più anche degli altri oli e grassi), dato che si trova sempre più spesso anche negli alimenti biologici e naturali.
Diciamo che nell'ambito della produzione alimentare industriale, che comunque dovrebbe essere consumata nella minor quantità possibile, l'olio di palma ha una sua funzione, che non va criminalizzata. Soprattutto perché ha una composizione chimica sorprendente che ne fa un grasso più protettivo o meno rischioso del burro nelle cotture, soprattutto se l’olio usato è allo stato grezzo e solido (“red palm oil”). Chi lo osteggia su internet dovrebbe a maggior ragione boicottare il burro, che come si vede nella tabella ordinata in ordine crescente di acidi grassi saturi, cioè a rischio, e in ordine decrescente di acidi grassi insaturi, cioè “protettivi”, ha parametri nettamente inferiori nelle due classi di acidi grassi protettivi mono e polinsaturi, e privilegiare addirittura il lardo, che ha il 66% di acidi grassi protettivi e solo il 33% di saturi, neanche tutti dannosi (ma che ovviamente è improponibile per una dieta vegetariana e men che meno vegana).
Potremmo chiederci, quale grasso che non sia di palma può resistere alle difficili condizioni ambientali della cottura industriale e della produzione a caldo,dell’ossidazione dovuta a immagazzinamento, calore prolungato (sole, luce battente), e a conservazione all’aria in scatole non a perfetta tenuta – come dadi per brodo, biscotti ecc. – per lunghi mesi a contatto con luce e temperatura ambiente? La risposta non è così scontata.
E’ peggiore, se possibile, valutando il periodo di decadimento in proporzione al costo, l'utilizzo poco accorto di olii più naturali e salubri: oli vergini di oliva, girasole, mais, cartamo, vinacciolo, sesamo, noce ecc. (se “di spremitura a freddo”) venduti in bottiglie trasparenti o alle alte temperature di erboristerie, negozi bio (un po’ più freschi) e supermercati, comunque fuori della “catena del fresco”, e nelle case sempre lasciati al caldo della cucina e a contatto con aria e luce (oliera), quindi predisposti alla rapidissima ossidazione e alla produzione nel nostro organismo di pericolosi radicali liberi, in quanto sono i grassi più instabili e delicati. Nella maggior parte dei cibi industriali questi oli, ricchi di acidi grassi mono e polinsaturi, quindi rapidamente deteriorabili, in quelle difficili condizioni si irrancidirebbero nel giro di ore-giorni-settimane, nonostante i sitosteroli protettivi, producendo perossidi, cioè radicali liberi, e poi idrocarburi, aldeidi e acidi tossici e di sapore sgradevole. A meno di non aggiungere i soliti additivi antiossidanti industriali (tipo BHT, butil-idrossitoluolo e BHA, butil-idrossianisolo), che si usano anche quando nelle torte pronte o nei panettoni c’è il delicatissimo burro.
In questi casi (produzione industriale, magazzini, trasporto ecc.) non resta come male minore che l’olio di palma, stabile alla frittura, ad ogni genere di cottura e alla perossidazione lipidica da ossigeno-luce-calore, e anche il più economico. Così inossidabile che, anche se può sembrare incredibile, un orcio di terracotta con tracce di olio di palma è stato trovato da archeologi ad Abydos in una tomba egizia di 5000 anni fa, (FRIEDEL MC. Comptes rendus. On fatty materials found in Egyptian tomb in Abydos. vol. 24,648,1987). Olio che, volendo, può essere anche acquistato nella forma grezza e solida, utile nelle creme che non si devono sciogliere ma rimanere pastose.
E sul piano puramente nutrizionale? Non è terribile come lo dipingono. L’olio di palma ha un rapporto saturi/insaturi inferiore a 1 (0.9). Accanto al 47% di a.g.saturi (tanti, certo) ha ben il 51.5% di a.g. insaturi protettivi, cioè circa il 39% di monoinsaturi (acido oleico, tipico dell'olio di oliva, che però ne ha il 70%) e il 12% di polinsaturi, soprattutto linoleico. Tanti, anzi ancora di più, questi protettivi, ma nessuno lo dice. Ben il 51.5% di grassi protettivi – che il burro si sogna (solo 26.5%), ma che lardo e strutto addirittura superano (oltre alla minore percentuale di a.g. saturi), e infatti sono i primi in classifica nella tabella.
Ci sono i saturi pessimi, quelli mediocri e quelli addirittura buoni, cioè protettivi. Insomma, non tutti gli acidi grassi saturi sono uguali. Vero è che l’abbondante acido palmitico (43-47%) dell’olio di palma è il suo vero limite nutrizionale, perché è un acido a catena lunga che isolato e dato ai topi ha mostrato in studi sperimentali di laboratorio un più alto rischio aterogenico e ipercolesterolemico e perciò cardiovascolare. Il burro, invece, ha solo il 21.6% di palmitico, e ha gli acidi laurico e miristico, saturi sì ma a catena media, quindi neutri rispetto al rischio detto, più l’acido butirrico, a catena corta, che pur essendo saturo è addirittura protettivo (è il medesimo che si forma per fermentazione delle fibre nel colon). Ma il burro, non dimentichiamolo, ha pur sempre solo la metà dei protettivi a.g. monoinsaturi dell’olio di palma.
Quando invece diamo all’uomo, non ai topi, non l’acido palmitico isolato ma l’olio di palma intero, a dimostrazione che ogni alimento naturale e integrale è un complesso bilanciato, non si verifica alcunché di negativo. Innanzitutto, l'olio di palma, come tutti i grassi vegetali, è privo di colesterolo, a differenza di burro e lardo. E il più alto colesterolo nel sangue che l’acido palmitico dovrebbe favorire ? La ricerca biologica più accreditata ormai è orientata nel senso che l’olio di palma si comporta all’atto pratico in modo neutro o addirittura favorevole verso i parametri lipidici, cioè non aumenta, anzi, spesso riduce sia il colesterolo totale, sia le pericolose LDL; mentre non innalza i trigliceridi. Quindi un’azione del tutto neutra, se non positiva.
STUDI. Nel classico studio di Sundram e Hornstra (in doppio cieco e crossover), in 38 volontari maschi la sostituzione del 70% dei grassi animali e oli idrogenati di una tipica “dieta olandese” con olio di palma, che è privo di colesterolo e acidi trans-saturi, non ha modificato il colesterolo totale nel sangue, ma ha aumentato dell’11% le HDL protettive, diminuito dell’8% le dannose LDL, aumentato del 4% le apolipoproteine A1 (legate alle HDL) e diminuito del 4% le apolipoproteine B (LDL). Tutti miglioramenti modesti ma significativi, che provano che quando l’olio di palma sostituisce la maggior parte dei grassi animali o trans-saturi in una dieta, non apporta nuovi rischi ma anzi può addirittura ridurre il rischio cardiovascolare (SUNDRAM K, HORNSTRA G, HOUWELINGEN AC, KESTER ADM. Replacement of dietary fat with palm oil: effect on human serum lipids, lipoproteins and apolipoproteins. Br J Nutr 1992, 68, 671-692).
In un esperimento su volontari della Malesia con diete alternate a base di oli di cocco, palma e mais, mentre l’olio di cocco alzava il colesterolo totale del 10%, l’olio di palma riduceva tutti i valori: colesterolo totale -19% (mais -36%), LDL -20% (mais -42%), HDL -20 (mais -26%). Il rapporto LDL/HDL non era modificato dal cocco, ma era abbassato dalla palma (-8%) e ovviamente ancor più dal mais (-25%). I trigliceridi nel sangue non erano modificati dalla palma, ma ridotti dal mais (NG TK, HASSAN K, LIM JB, LYE MS, ISHAK R. Nonhypercholesterolemic effects of a palm-oil diet in Malaysian volunteers. Am J Clin Nutr 1991,53,4,1015S-1020S). Quindi anche qui un comportamento da neutro a favorevole, e comunque non negativo.
Sul piano produttivo, legislativo e commerciale, invece, i problemi ci sono, eccome. Innanzitutto l’olio di palma assume in commercio gli aspetti e le forme più diverse, tanto da disorientare noi Europei: grezzo, rosso e pastoso in barattoli, più di rado solido e giallo in panetti biancastri come il burro (attenzione che non sia idrogenato: è molto usato come margarina), semifluido e rossiccio allo stato naturale (“Pure Crude Palm Oil”). ma più di frequente in Europa in contenitori di liquido giallo e fluido come un qualunque olio di semi (“olio di palma frazionato”, “Superoleine”) destinato alle friggitorie e ai ristoranti. E’ il tipico “olio di palma bifrazionato” e raffinato, che ha una composizione percentuale in teoria più accettabile: 37% a.g. saturi, 41.1 a.g. monoinsaturi, 13.5 a.g. polinsaturi. Peccato che sia stato ottenuto per raffinazione chimica frazionata, quindi con un procedimento altamente tecnologico e pochissimo naturale, e soprattutto che abbia perso tutti i suoi preziosi antiossidanti rossastri dello stato solido o pastoso, grazie all’abbondanza di beta-carotene e altri carotenoidi, e il profumo particolare (per alcuni di violetta).
Insomma, quello che era in origine allo stato naturale un grasso tutto sommato discreto e ricco di antiossidanti, viene uniformato, banalizzato e spersonalizzato in modo da somigliare a un qualsiasi oliaccio industriale. Ma, ripetiamo, non è un difetto dell’olio di palma, quanto della tecnologia esasperata che lo ha trasformato e reso artificiale, comune a tutti gli oli di semi industriali. Così, alcuni naturisti americani hanno preso l’abitudine di andare a cercarsi sul mercato web il “red palm oil”, l’olio di palma rosso e naturale (v. immagine), ricco di proprietà antiossidanti e protettive che insieme con i tanti acidi insaturi evidentemente bilanciano in modo efficace nel nostro organismo l’eccesso di acido palmitico.
L’olio di palma grezzo, cioè non raffinato, contiene infatti una grande quantità di antiossidanti, molto più della carota: circa 30.000 mcg di beta-carotene (responsabile del colore rossiccio), 24.000 mcg di alfa-carotene e 33.10 mg/100 g di vitamina E alfa-tocoferolo. Oltre a coenzima ubiquinone Q10, squalene ecc. Un peccato che la raffinazione distrugga tutta questa ricchezza, solo per permettere alle friggitorie e ai ristoranti popolari di tutto il Mondo di cuocere cibi orribili e insani a poco prezzo! Il burro è dotato di quantità decisamente minori di antiossidanti: retinolo 906 mcg, beta-carotene 146 mcg, vitamina E alfa-tocoferolo 2.40 mg (IEO, Inran).
Inoltre le norme non sono chiare. I produttori ne approfittano, indisturbati, per mescolare spesso all'olio di palma l’olio di palmisti, cioè l’olio del seme del frutto della palma, che è un grasso completamente diverso per composizione, aspetto (è bianco, non avendo i carotenoidi) e gusto, e assomiglia molto all’olio di cocco. Nella tabella in alto l’olio di palmisti ha l’82% di acidi grassi saturi, un’enormità, e appena il 15% di monoinsaturi. Dovremmo ottenere leggi internazionali che vietino ai produttori di mescolare due grassi così diversi, palma e palmisti, senza denunciarlo in etichetta, specificando anche il contenuto percentuale in acidi grassi della miscela. Per fortuna nella sfortuna, però, gli a.g. saturi dell’olio di palmisti pur essendo sovrabbondanti sono migliori qualitativamente di quelli dell’olio di palma: costituiti da poco acido palmitico, un a.g. a catena lunga, ad alto rischio (6.5-9%), e invece per lo più da a.g. saturi a catena media come il laurico (47-51.5%) e il miristico (15.5-17%) che sono piuttosto neutri, cioè non provocano danni ateromasici e ipercolesterolemici nell’organismo.
Insomma, è bene far entrare in testa ai consumatori che la natura dei grassi è complessa, e anche la natura dell’intera “alimentazione naturale”. E’ sbagliato dire “grassi saturi” in generale per dire il peggio da criminalizzare. Bisogna vedere i dettagli, cioè le quantità in cui i diversi acidi grassi saturi sono presenti in ciascun grasso (di palma, di palmisti, di cocco, lardo, strutto e burro). Negli a.g. saturi bisogna distinguere tra a.g. saturi a catena corta (protettivi), a.g. a catena media (neutri), a.g. a catena lunga, dannosi. E poi, a che serve usare in alternativa preziosissimi oli extra-vergini di prima spremitura a freddo (tanto più che se ne possono consumare pochi grammi al giorno), quando sono ossidati da calore, luce e ossigeno? Anzi, diventano produttori di radicali liberi più dei grassi saturi!
Alla fin fine, il bilancio dell’olio di palma, anche in dettaglio, è sostanzialmente neutro o leggermente positivo, non certo allarmante. Comunque per la cottura ad alta temperatura (frittura), specialmente se è grezzo, l’olio di palma è preferibile come parametri addirittura al burro e agli oli di semi, che si degradano facilmente al calore.
Non criminalizzare nulla di ciò che è naturale e lungamente sperimentato dall’Uomo. Noi, da parte nostra, continuiamo a consigliare di consumare per il (tanto) cibo crudo e per il (poco) cibo cotto che ci sono necessari ogni giorno quantità misurate di ottimo olio extra-vergine di oliva. Però trattandolo bene, cioè assicurandoci non tanto che sia biologico o no, piuttosto che produttori e commercianti l’abbiano prodotto a bassa temperatura e conservato al buio e in catena del fresco, che sia non in oliera ma in bottiglia scura o coperta di alluminio, chiusa non col sughero ma col tappo a vite sempre ben serrato, conservato in cantina o in analogo ambiente fresco e buio, non in cucina… Queste sono le condizioni davvero importanti. Altrimenti – nelle piccole quantità consentite per i grassi di condimento (il consiglio empirico per una persona normale sana ma sedentaria è di non superare i 2 cucchiai da minestra a pasto di olio crudo; ma per molti soggetti sovrappeso anche meno) – andrebbe bene tutto, perfino gli oli di semi raffinati e l’olio di palma.
Tutti gli altri grassi della Tradizione (lardo, strutto e burro, quest’ultimo rigorosamente solo crudo) possono essere usati soltanto di tanto in tanto o eccezionalmente, se si vuole. O anche mai (naturisti stretti, vegan): non sono certo necessari. E per i non vegetariani o non naturisti? “Orribile a dirsi”, lardo e strutto sono molto meglio del burro nella cottura: le cifre della tabella parlano chiaro. E anche gli oli di semi non raffinati, certo, vanno usati (peccato gli altissimi prezzi…) purché non abbiano mai lasciato la “catena del fresco”, condizione rarissima. E anche i migliori oli di semi nella frittura si decompongono facilmente e producono radicali liberi, tanto da essere ben più rischiosi dell’olio di palma. Ma non gridiamo allo scandalo se nei cibi industriali o degli esercizi pubblici (fritture, biscotti, creme spalmabili, grissini, margarina, dadi per brodo ecc.) c’è l’olio di palma (purtroppo raffinato, questo piuttosto lo scandalo). Perché per il consumatore eccezionale non sono affatto un rischio quei pochi grammi una volta all’anno! E’, semmai, il complesso dei cibi artificiali e industriali ad essere alla lunga rischioso, anche senza olio di palma, se condiziona la nostra dieta abituale. E perciò dobbiamo consumarli molto di rado gli alimenti industriali. E, anzi, chi grida troppo fa sospettare che abbia intenzione di mangiarli spesso…
Diverso e fondamentale invece il discorso ecologico che abbiamo appositamente lasciato per ultimo. La vera motivazione della campagna anti-palma dovrebbe essere ambientale, mentre in realtà è politica. E’ vero che la dissennata deforestazione per impiantare sempre nuove coltivazioni di palma da olio sta distruggendo l’ambiente originario e le foreste dell’Asia, più amate dagli Occidentali che dagli Orientali, tanto che i rari oranghi sono in via di sparizione.
(Fonte: Alimentazione Naturale Blog)
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