Una spiga di grano Senatore Cappelli |
In quella notte buia e tempestosa del '74 si decise di intervenire sostituendo il motore primo dell'intero ciclo, si decise di sostituire il cavallo sfiancato con uno più giovane e forte, a qualunque costo.
In sostanza, si decise di sostituire il grano.
Fino a quell'epoca la varietà di grano più diffusa in italia era la Senatore Cappelli (dal nome dell'autore della riforma agraria dei primi del '900 che tra l'altro separò grani duri e teneri), un grano eccellente dal punto di vista nutrizionale e particolarmente "duro". La pasta ottenuta con la sua semola infatti reggeva la cottura in modo sconosciuto a quella di oggi, rimanendo sempre al dente (dettaglio di colore, certo non fu questa la cospirazione della pasta scotta).
Aveva tuttavia del "difetti", almeno dal punto di vista industriale. Il Senatore Cappelli è un grano particolare a fusto alto, che arriva fino a 180cm, molto soggetto all'allettamento, ovvero alla piegatura dovuta ai fenomeni atmosferici. Inoltre le spighe molto lunghe e semipiene determinavano una resa relativamente limitata, circa 28 quintali per ettaro. Per questi motivi già dalla fine degli anni '60 era iniziata la sostituzione, in molte zone d'Italia, con varietà naturali più produttive.
Il tempo però evidentemente stringeva, quindi si decise di provare a creare un grano svelto ed efficiente, adatto ai tempi. Nasceva il grano Creso. Vediamo come.
I suoi genitori furono Alessandro Bozzini e Carlo Mosconi, all'interno del gruppo di genetisti del Centro della Casaccia dell'ENEA (già Centro Nazionale per le Ricerche Nucleari) e fu ottenuto dapprima ottenendo una mutazione del Senatore Cappelli esponendolo a radiazioni da raggi gamma e poi incrociando questo grano mutato con un ibrido di grano duro e tenero. Il risultato fu un nuovo grano, denominato appunto Creso. Le sue caratteristiche erano proprio quelle desiderate: una varietà nana (70-80cm) estremamente resistente all'allettamento, con spighe molto piene e produttive. Fino a 100 quintali per ettaro nelle migliori condizioni.
Il nuovo grano non venne pubblicizzato granché presso l'opinione pubblica, venne semplicemente iscritto all'apposito registro delle varietà seminabili. Già nell''82, però, la produzione di grano Creso era oltre il 60% di quella nazionale, mentre i primi dati arrivarono al grande pubblico solo nel 1984. Il Creso, grande successo italiano, venne esportato in tutto il mondo, dove venne utilizzato per ulteriori ibridazioni naturali, o meno.
Questa la storia. Dove sarebbe il problema, allora? In realtà, non lo sappiamo e sembra che nessuno voglia scoprirlo davvero. L'evidenza statistica ci parla dell'esplosione di diverse malattie legate all'assunzione di cereali contenenti glutine negli ultimi trent'anni, prima tra tutte naturalmente la celiachia (ne soffre l'1% della popolazione italiana, in aumento). Al di là delle generali constatazioni che il grano Creso non contenga una quantità di glutine maggiore rispetto ad altre varietà di frumento, studi scientifici non sono stati effettuati, nonostante appaia fondata l'ipotesi che la modifica genetica abbia generato anche la modifica della sua proteina, in particolare nella sua frazione detta gliadina, il cui malassorbimento (semplificando) genera l'infiammazione tipica della celiachia. Nessuna certezza, quindi, ma forti sospetti ed evidenze statistiche da allarme sociale. Allarme che però non c'è. Le ragioni saranno anche molte, per questo. Ci permettiamo di inserire maliziosamente anche il giro d'affari in spaventosa crescita dei prodotti per celiaci, che ha un costo enorme per chi purtroppo soffre della malattia e per lo Stato, che contribuisce attraverso il sistema sanitario.
Coltivazione di grano Creso |
Da qualche anno l'Italia è tornata infatti in decifit per quanto riguarda il grano, ovvero non ne produce abbastanza e deve importarlo, quasi sempre da paesi dove le ibridazioni del frumento (anche senza parlare di OGM) non sono state oggetto delle verifiche comunque severe dell'unione europea. Stesso discorso per i prodotti utilizzati per aumentare la produttività dei raccolti, alcuni dei quali sono vietati in europa ma che comunque assumiamo dal grano di importazione.
Il rischio è quindi quello dell'acuirsi delle malattie già note, come la celiachia e all'insorgere di nuove malattie legate al consumo di quello che resta il fondamento della nostra alimentazione.
Articolo davvero interessante che dovrebbe stimolare un'attenzione allarmata all'argomento, "Allarme che però non c'è" come si legge nell'articolo stesso e questo è il vero problema.
RispondiEliminaNon prestiamo sufficiente attenzione a quel che viene deciso senza che si possa in alcun modo decidere in merito con cognizione di causa.
Grazie per lo stimolo alla riflessione.
Hai ragione Oriella,l'avidità rovina qualunque cosa,e lo fa talmente di soppiatto senza che nessuno se ne possa rendere conto!!!!!
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