martedì 21 gennaio 2014

Attualità e controinformazione - Anarchia: I poeti della rivoluzione

Controinformare vuol dire anche (e soprattutto) andare a cercare nozioni e notizie che normalmente non si trovano nei canali tradizionali. Oggi esploriamo quel confine sottile che c'è tra la filosofia e la teoria politica. Parliamo di anarchia: temuta, disprezzata, agognata, comunque mai realmente realizzata nella società moderna. Incubo, utopia o forse qualcosa d'altro, qualcosa da inserire nelle nostre vite alla continua ricerca di maggiore libertà? La parola, e il benvenuto a Bobo Tzu (siete sempre più a condividere con noi le vostre riflessioni e conoscenze. Grazie!)

Anarchia: I poeti della rivoluzione
di Bobo Tzu

L’ingiustizia segue da sempre la razza umana come un’ombra e da quando l’uomo si è messo a scrivere non si ricorda un momento di pace nel mondo: in tremila anni di storia ci sono state all’incirca quindicimila guerre, cinque guerre all’anno . Per trovare l’ordine e l’armonia sociale, dobbiamo cercare in quelli che sono considerati i popoli incivili e pagani, in quegli uomini che non hanno conosciuto la civiltà, custodi della saggezza della natura e della profonda nobiltà dell’esistenza. Popoli che, per la verità, la civiltà l’hanno conosciuta bene, in quanto, proprio nella sua folle espansione, essi sono stati lentamente sterminati.
Il «Newton delle scienze sociali», Lewis Henry Morgan, l’iniziatore dell’antropologia culturale, compì numerosi studi etnologici sugli Indiani d’America, fra cui direttamente sugli irochesi, sviluppandoli in teorie sulle strutture della parentela e in ipotesi evolutive che influenzeranno Marx, soprattutto Engels e in parte Lenin; dalle teorie di Morgan risulta scientificamente plausibile considerare il socialismo naturale degli Indiani come una dimostrazione evidente della possibilità di instaurare una società giusta e, quindi, come prototipo storico di comunismo applicato. Gli Indiani avevano edificato una civiltà basata sull’armoniosa convivenza di tutti gli esseri della vita, senza bisogno alcuno di governo, tribunali, polizia, burocrazia, politica, una società in cui ogni suo membro diventava un individuo realizzato e totale. Tutti i capi Indiani sono degli uomini profondamente saggi e poetici, mentre i nostri capi politici? Sono dei burattini delinquenti e stupidi manipolati dal signoraggio di quei burattinai delinquenti e stupidi dei banchieri . Ma non si può scappare da se stessi, dall'essere eterno e così solo l’uomo libero dalla mente può comprendere e Capo Seattle, ad esempio, era un uomo libero:

Ogni uomo è buono agli occhi del Grande Spirito. Non è necessario che le aquile siano corvi .

Attraverso la mente l’uomo ha creato l’ingiustizia e con la mente l’uomo ha cercato di eliminarla, creando una vera e propria dottrina, una fede, un’ideologia della libertà: l’anarchia.
Il termine «anarchia» storicamente, da Aristotele a Beccaria per giungere fino ai nostri giorni, ha una valenza totalmente negativa: mancanza di governo, di leggi e di ordine. Questa visione ostile dell’anarchia è motivata anche, e soprattutto, dal fatto che chi l’ha diffusa e tramandata era ed è ancora spinto da interessi personali a mantenere lo status quo, a custodire le proprie proprietà e i propri privilegi economici e sociali. Dalla parte opposta si collocano gli anarchici, i poeti della rivoluzione che, definendola negativamente , considerano l’anarchia positivamente, quale soluzione di tutti i mali umani, come se il solo parlare dell’anarchia possa condurre ad una società libera ed egualitaria. Come se il perseguire una meta basata su un’idea sia un gesto di libertà e il combattere per l’affermazione di un’ideologia sia un atto rivoluzionario.
Gli anarchici, nella loro spinta ribellistica nei confronti di una convivenza sociale palesemente ingiusta, nei riguardi di un processo di autodistruzione messo in moto dall’uomo, colgono numerosi spunti sorprendenti e sono rigogliosi di intuizioni geniali, arrestando, però, la loro corsa nella rete viscida della mente, imprigionati nelle maglie dell’ego . Ebbene, essi non hanno mai considerato che l’autorità più inesorabile non è esterna all’individuo ma interna: l’ego. L’accumulo del condizionamento struttura una mente meccanica, incapace di rispondere in modo nuovo e rivoluzionario alla sfida della vita sempre diversa, una mente che proietta se stessa nella «meschinità» di un’ideologia, di valori, di principi, nella tortuosità dolorosa di una perenne schiavitù intellettuale.
Sebbene una definizione univoca sia impossibile, l’elemento comune dell’anarchia è la negazione di qualsiasi autorità divina ed umana e l’anelito, mediante una rivoluzione sociale, ad una società armoniosa in grado di conciliare la libertà degli individui e le esigenze della vita sociale. Essa è il tentativo di risolvere la politica, che viene negata in quanto ingiusta ma confermata dalla rivoluzione sociale, con l’etica, la quale sorregge la società anarchica come criterio del valore supremo che è la libertà. Ogni diversa interpretazione dell’anarchia è considerata tale e legittima solo se contempla anche la libertà di tutti, di chi la sostiene e degli altri.
Gli anarchici e gli storici dell’anarchia si sono sempre sforzati di dare un’«ascendenza» alla loro dottrina e, partendo dalla convinzione che l’anarchia sia una manifestazione di naturali impulsi umani contro i quali si pone qualsiasi forma di autorità istituzionalizzata, hanno rintracciato vari precursori e delle origini diverse al pensiero libertario.
Kropotkin, l’estremista più ardito dei genealogisti anarchici, congettura che le radici dell’anarchia vadano ricercate nella massa anonima del popolo e, in La scienza moderna e l’anarchia, passa in rassegna tutti i movimenti di ribellione all’ordine costituito dall’età della pietra alle Trade Unions inglesi; Nettlau si riferisce alla filosofia greca come al «primo fiorire del pensiero libero che noi conosciamo» ; Woodcock, identifica nelle lotte contadine che insorsero nell’Inghilterra del XV secolo e agli inizi del XVI in Germania, pur sottolineando il fatto che le loro richieste in sé non erano rivoluzionarie, l’esperienza storica in cui «trovò espressione per la prima volta quel tipo di critica sociale che doveva sfociare nell’anarchia» .
Ogni storico diventa anarchico e ogni anarchico diventa storico nella ricerca delle origini e si sono reclutati in questo modo: Lao-tzu, Gesù, gli Esseni, le correnti religiose del Medioevo cristiano, Münzer e gli anabattisti, Etienne de la Böetie, Swift, Fénelon, Diderot, Morelly, gli Arrabbiati. La collezione potrebbe continuare, per giungere alle esperienze socialiste dei popoli incivili, sterminati perché inferiori , come gli Indiani d’America.
Si è soliti distinguere l’anarchia come fine, meta prossima del genere umano e l’anarchismo come tentativo reale di affermazione storica e metastorica dell’idea anarchica.
L’anarchismo nasce alla fine del Settecento sull’onda lunga della critica progressista; esso si pone come culmine culturale di quel processo di secolarizzazione inaugurato dall’Illuminismo e invalidato dal Romanticismo in cui tutte le correnti libertarie, messe in moto dalla Rivoluzione industriale e manifestatesi in modo organico nel corso della Rivoluzione francese, troveranno una via di sbocco e un mezzo per inserirsi nella realtà sociale.
L’essenza dell’anarchismo è costruita su una triplice negazione: Dio, Stato e capitalismo. La critica teologica consumata in tutta la sua valenza ha liberato la critica politica, che, affrontando la realtà storica, si è fatta critica economica.
Esso si presenta come il radicale rifiuto del sistema economico capitalistico e della sua organizzazione statuale, rinvenendo nell’autorità, il dominio dell’uomo sull’uomo, una deviazione da un ordine naturale di una natura che è pur sempre ostile, a parte forse per qualche anarchico come ad esempio Eliseo Reclus.
L’anarchismo si pone come il punto d’incontro e di sintesi del razionalismo settecentesco, del liberalismo economico, dell’idealismo assoluto e del positivismo evoluzionistico.
Possiamo delineare tre momenti particolarmente significativi nello sviluppo storico dell’anarchismo:

1) individualista, i cui maggiori esponenti sono Stirner, Josiah Warren e Benjamin Tucker e che ha il massimo sviluppo nei paesi anglosassoni e in America ;
2) comunitaria, più risoluta sul piano sociale, la si può definire come: mutualistica, con Proudhon; collettivistico-antiautoritaria, con Bakunin; comunistico-libertaria, con Kropotkin, Malatesta e Cafiero ;
3) anarco-sindacalista, il momento di maggiore maturità, la risposta in termini di azione di massa all’esasperato individualismo degli attentati anarchici .

Come movimento organizzato l’anarchismo nasce, successivamente alla spaccatura dell’Internazionale, con il congresso di Saint-Imier nel 1872, primo congresso interamente anarchico, che, respingendo all’unanimità le risoluzioni dell’Aia, promulga una vera e propria Carta dell’anarchia. Tale carta rappresenta l’impossibilità di oltrepassare indenni le aporie innescate dal pensiero concettuale:

La distruzione del potere politico è il primo dovere del proletariato. […] ogni organizzazione del potere politico che si dichiara provvisoria e rivoluzionaria per condurre a questa distruzione non è altro che ulteriore inganno .

Essendo un prodotto della mente esso nasce morente e le parole di un anarchico come Nico Berti mi sembrano perfette:

Il movimento anarchico ripresenta il paradigma anarchico dello stesso anarchismo: l’assunzione in chiave etica della politica. La sua natura, infatti, si evidenzia in questa insanabile aporia: da una parte si costituisce politicamente, dall’altra si nega in quanto tale. […]
Da un lato si critica il partito politico della classe operaia, dall’altro si intende dare avvio ad un nuovo movimento .

Il movimento anarchico, il quale immette nel corpo sociale del movimento operaio la logica secolarizzante dell’Illuminismo individualizzata e anarchizzata, può essere suddiviso in due fasi, inframmezzate dalla Rivoluzione d’Ottobre avvenimento in cui marxismo e anarchismo giungono ad uno scontro sanguinario e frontale:

1) dal 1872 al 1917, in cui la multiformità pluralistica dell’anarchia si fa sempre più custode dell’«immagine della rivoluzione» ;
2) dal 1917 al 1937, in cui si consumano tutte le possibilità storiche dell’anarchismo e un ciclo viene a chiudersi per sempre .

L’anarchismo classico , è costituito da quegli autori che, criticandosi e influenzandosi a vicenda, hanno delineato le grandi tendenze dell’anarchismo: Godwin carica l’anarchia con una ragione illuminista ed educazionista; Stirner la sospinge verso una dimensione impetuosamente nichilista; Proudhon ne interpreta il carattere socialista e riformista; Bakunin specifica il rapporto tra la libertà e la rivoluzione; Kropotkin getta un ponte tra scienza e anarchia sul quale costruisce una casa illusoria; Malatesta con il suo volontarismo cerca di scacciare le aporie anarchiche, ma alla fine le rafforza.

Nessun commento:

Posta un commento