giovedì 9 gennaio 2014

Il prezzo di una vita in gabbia: vite che si accorciano

Articolo di Simona Basi.
Fonte: esperienza diretta per aver salvato negli anni diversi animali provenienti dalle gabbie degli allevamenti intensivi.
L’esperienza diretta della mia vita a contatto con questi animali esula dai dettami della scienza veterinaria e spesso i veterinari interpellati si sono trovati di fronte a realtà del tutto nuove anche per loro… In biologia si studia che la vita di una gallina può arrivare anche a 20 anni; nella realtà delle galline provenienti dalle gabbie degli allevamenti intensivi questa vita si riduce vertiginosamente di ben 19 anni. Come vedrete, la vita media delle galline che nel corso degli anni ho salvato dalle gabbie è di circa 1 anno ovvero 1 anno e 7 mesi.

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Premetto che mi accingo a redigere questo articolo con notevole pathos emotivo, in quanto inevitabilmente con la mente devo ripercorrere tutto il dolore provato per ogni perdita che ho subito, per ogni cucciola che ho visto morire impotente e spesso mi è morta tra le braccia, con il mio cuore che rischiava di fermarsi ogni volta.
Sono anni che salvo galline dagli allevamenti intensivi e poi ospito a casa mia, portandole ogni giorno nei parchi con me e dormendo insieme a loro. Per me sono animali da compagnia esattamente come i cani e i gatti. Anzi, ritengo che queste creature siano esattamente a metà strada tra i cani e i gatti, in quanto hanno caratteristiche sia degli uni che degli altri. Sono fedelissime, gelosissime, permalosissime e affezionatissime


alla propria ‘dada’ esattamente come i cani e amano le coccole, si accovacciano nella propria cesta sul cuscino e pensano in autonomia a pulirsi le piume esattamente come i gatti pensano alla pulizia del proprio pelo.

Le galline sono creature mattiniere, proprio come la sottoscritta e, per il mio carattere, preferisco di gran lunga la sera quando arrivo a casa mettermi il ‘pigiamone’ e magari pulire tutto il mattino seguente all’alba, piuttosto che uscire verso le undici o mezzanotte per portare fuori il mio cucciolo. Ogni cucciolo necessita di cure, non solo la gallina da compagnia, ma anche il cane o il gatto di casa, non dobbiamo certo pensare a loro alla stregua di ‘giocattoli’ o ‘soprammobili’ , semplicemente ognuno di noi sceglierà il cucciolo che più lo assomiglia, così da potersi prendere cura di lui al meglio.

Premesso questo, provo a riepilogare la mia esperienza diretta in merito alla vita media delle galline.
Il primo pennutino che ho avuto in cura fu nel 1987: un pulcino nato libero in campagna dalla mia bisnonna e visse per 7 anni abbondanti e a mio avviso avrebbe potuto vivere di più se non ci fosse stato quel malinteso che lo fece soffrire di gelosia nei miei confronti! Mi vide con un altro cucciolo, questa volta d’uomo, e per proteggerlo da eventuali giochi e grida di questo bimbo feci finta di non vederlo e non lo ‘presentai’ al bambino. Il giorno seguente il mio cucciolo inspiegabilmente fu trovato morto ‘per cause naturali’. Io non feci neppure in tempo a vederlo, ma mi venne descritta la sua morte come dovuta a una probabile patologia cardiaca.

Nel 2007 salvai Caterina, la protagonista di numerosissimi video che realizzai su di lei, anche destinati ai bambini, per avvicinarli a questi splendidi e affettuosissimi animali. Caterina era sempre con me, ovunque io andassi e con chiunque io stessi: piangeva quando mi vedeva uscire di casa e quindi, non appena potevo, me la portavo con me: al parco, in giro per la città, in vacanza, a casa del fidanzato, in giro per le città d’arte, ad un paio di presidi animalisti (in braccio a me o ai miei piedi) e addirittura una volta anche a fare la spesa al supermercato!
Caterina la salvai il giorno stesso in cui nacque, il giorno 3 agosto del 2007, e quindi non stette nelle minuscole e sporche gabbie affollate degli allevamenti intensivi neppure un giorno.  Forse è per questo motivo che, nonostante la ‘vita mondana’ che fece al mio fianco, amata e coccolata sempre, magari non proprio consona ad una gallina, ma io che la conoscevo così bene e ci intendevamo al volo, capivo che preferiva stare al mio fianco piuttosto che in casa, è vissuta per oltre 3 anni.

Le successive galline le salvai tutte a circa 20-25 giorni di vita e quindi erano già state nelle minuscole e affollatissime gabbiette di ferro per tutti quei giorni.
Andando in ordine cronologico, le successive galline che ho salvato dalle gabbie, alla morte della mia adorata Caterina, sono Isabella e Neroni.
Neroni sin da subito ha manifestato patologie cardio-respiratorie e il suo respiro era rumorosissimo (così come le sue fusa: rumorosissime anch’esse!). Neroni morì all’arrivo della prima estate afosa, la mattina del 25 giugno 2011.  Visto il caldo di quei giorni, sia Isabella sia Neroni avevano dormito in terrazza (era veramente caldo). Quella mattina del 25 giugno 2011 trovai Neroni accucciata tra un vaso di fiori e il muro della terrazza. La feci entrare, ma non feci in tempo a ripulire la terrazza che mia madre mi avvertì che sentiva un rumore di sbattimento di ali: mi precipitai in cucina e la trovai che stava spirando… La presi tra le braccia e con la gallina sulle mie ginocchia iniziai a comporre i numeri di tutti i veterinari specializzati in uccelli che mi erano stati segnalati, ma nessuno di essi mi diede ragguagli certi sulla motivazione di questa morte a loro dire prematura. Un avvelenamento? Un problema cardiaco? Per accertarne la vera causa avrei dovuto sottoporre la mia amata cucciola nera ad un’autopsia, ma il dolore per me al solo pensiero del suo corpicino sfigurato fu talmente grande che preferii lasciarla riposare in pace. Solo anni più tardi, con l’esperienza delle successive galline che ho salvato, mi resi conto che stavo assistendo - in perfetta solitudine e non supportata neppure dai veterinari che continuavano ad insistere, sulla base di quanto avevano studiato sui libri di biologia, che la vita media delle galline è sui 20 anni…ndr - sempre ad una stessa identica morte per queste povere sfortunate creature che avevano vissuto parte della loro vita nelle gabbie e provenienti altresì da ‘accurate’ e volte solo al profitto dell’allevatore selezioni genetiche compiute da questi allevatori per potenziare a dismisura la parte ‘richiesta dai consumatori’, il petto, con notevole nocumento delle ossa, troppo deboli per sostenere il peso innaturale di queste creature, e con l’inevitabile svilupparsi di malattie cardiocircolatorie.

Isabella continuò a farmi compagnia, alla morte della sua sorellina Neroni, ancora per qualche mese e morì il giorno 9 aprile del 2012, all’età di 1 anno e 7 mesi. Identica la modalità del decesso: prima sono mogie ed accovacciate, respirano rumorosamente (forse sono già in gasping, ovvero in respiro agonico), poi si alzano un attimo sulle zampine e si riversano all’indietro. Talvolta sbattono per un po’ le ali, nell’ultimo tentativo di sopravvivere, poi spirano e non ci sono più, con mio intenso e vivo dolore ogni volta!

Dopo la morte di Isabella salvai Laura e Carlotta, il giorno 21 aprile del 2012. Laura si presentava subito come pulcina sofferente e con un occhio quasi cieco a causa delle precarie condizioni igieniche delle gabbie degli allevamenti intensivi e delle continue defecazioni sull’occhio provenienti dalle galline poste sulle gabbie di sopra! E non hanno modo di pulirsi gli occhi con l’acqua… e, come sicuramente saprete, le feci sono corrosive.

Fortunatamente, così come le successive galline Anastasia (detta affettuosamente ‘Fagiolino’) e Havana, riuscii con l’aiuto del veterinario a curarglielo e tornò a vederci.

Carlotta morì il 15 aprile del 2013. La trovai impigliata in una rete da calcio presente all’interno del parco condominiale dove tutti i giorni la facevo ‘pascolare’ insieme alla sorellina Laura. Il veterinario commentò questo decesso con la debolezza di cuore dei pennuti che, trovandosi imprigionati, possono morire in pochissimi minuti d’infarto.


Laura morì come Isabella all’età di 1 anno e 7 mesi, con identiche modalità. La trovai dentro al rifugio che nel frattempo avevo aperto per dare una seconda vita alle galline salvate dalle gabbie: era mogia, accovacciata in un angolo, con la crestina violacea e fredda al tatto. La presi tra le mie braccia e la portai su in casa di mia nonna, al caldo. Dopo circa un’ora la vidi morire e mi morì tra le braccia. 

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